Danny Blanchflower, il visionario degli Spurs
Ad un club dalla storia lunga e gloriosa come ilTottenhamle figure di spicco non mancano di certo, ma in pochi possono godere della stima e del rispetto che ha saputo guadagnarsi il nordirlandeseRobert Dennis Blanchflower. Centrocampista molto dotato in fase di impostazione, è stato anche allenatore, giornalista e commentatore.
Blanchflower nasce nel 1926 a Belfast, primogenito di cinque figli. A casa si respira calcio: sua madre Selina aveva giocato come centravanti in una squadra femminile mentre suo fratello Jackie militava nel Manchester United prima che il disastro aereo di Monaco del 1958 ne stroncasse la carriera. Danny, come lo chiamano tutti, fa l’apprendista elettricista e nel 1943 arriva a mentire per essere arruolato in guerra presso la RAF, l’aviazione britannica.
Intanto però non tralascia il calcio: esordisce nel Glentoran e si trasferisce in Inghilterra nel Barnsley, poi nel 1951 passa all’Aston Villa. Ma l’anno della svolta è il 1954, quando il Tottenhamlo acquista per trentamila Sterline.
Anni di gloria
È il periodo migliore della sua carriera. Centrocampista di destra, si dimostra valido tanto in fase difensiva quanto nell’impostazione di gioco. Nei suoi dieci anni agli Spurs gioca 382 partite mettendo a segno 21 reti. Nel 1960/61 conduce il Tottenham allavittoria del campionato e della FA Cup: era dal 1897 che nessuna squadra centrava l’accoppiata. Nel 1962 vince la seconda FA Cup da capitano segnando un rigore nella finale contro il Burnley. Nel 1963 alza laCoppa delle Coppesotto il cielo di Rotterdam dopo la finale contro l'Atletico Madrid. Viene votato calciatore FWA dell’anno nel 1958 e nel 1961.
È uno che parla schiettamente, Danny, come molti della sua generazione. Questo gli causa problemi con il manager Jimmy Anderson e il suo successore Bill Nicholson. Il prezzo della sincerità. Nel 1961 si trasferisce al Toronto City e nel 1964 annuncia il ritiro a 38 anni. Allena la nazionale dell’Irlanda del Nord e infine il Chelsea prima di dire definitivamente basta nel 1979.
Visionario e sognatore in un’epoca di concretezza
Blanchflower non è un giocatore come gli altri: fin dalla gioventù si dimostra interessato alla tattica, sviluppando una propria visione del calcio. La sua concezione può essere riassunta in tre righe:
“l’errore peggiore è pensare che quello che conta più di tutto in una partita sia vincere. Niente affatto. Quello che conta è la gloria. È giocare con stile, con bellezza, è andare in campo e travolgere l'avversario, non aspettare che sia l'avversario a farsi avanti e così morire di noia.”
Attaccare, divertirsi, giocare con eleganza. Oggi può sembrare banale ma al tempo era rivoluzionario. Non è un tipo come gli altri, Danny. E lo dimostra portando avanti unacarriera da giornalistaparallela a quella da calciatore: mentre è all’Aston Villa tiene una rubrica per il Birmingham Evening Mail, quando gioca per gli Spurs scrive per il London Evening News e dopo il ritiro prosegue come editorialista per il Sunday Express.
Schiettezza e coerenza
Danny Blanchflowerha fatto parlare di sé per alcune prese di posizione eclatanti, simbolo di una personalità forte e schietta. Nel 1958 è tra i firmatari dellalettera al Timesin opposizione alla politica dell’Apartheid nello sport internazionale e nel 1961 è il primo atleta a rifiutare l’invito a partecipare alprogramma “This Is Your Life”perché lo considera un’invasione della privacy. È anche commentatore per la CBS e naturalmente non ha peli sulla lingua: in più di un’occasione mette in imbarazzo la dirigenza della rete.
Il 1 maggio 1990, quando a White Hart Lane il Tottenham gioca una partita in suo onore, è già malato di Parkinson ed Alzheimer. Muore il 9 dicembre 1993 a 67 anni. I tifosi non lo hanno mai dimenticato.
diRaffaele Terzoni