Crystal Palace: tensione derby e futuro
Nell’estate del 2017 il Crystal Palace iniziava la propria rivoluzione inaugurando l’era di Frank de Boer, con una difesa a tre e un approccio di calcio “moderno”. Quattro sconfitte, sette gol incassati e zero gol segnati avevano però portato all’esonero del tecnico olandese dopo sole quattro partite giocate, col suo posto preso da un manager più tradizionalista come Roy Hodgson. Anche la sua avventura non era iniziata col piede migliore (cinque sconfitte su sette gare), eppure la disciplina e il duro lavoro del 73enne avevano ripagato, con la squadra che non solo si era rialzata, ma era addirittura riuscita a salvarsi in anticipo e a chiudere 11esima (complici sei risultati utili di fila nel finale di campionato, tra cui quattro vittorie).
L’anno successivo il copione non sembrava molto diverso, con tre sconfitte nelle prime quattro partite e in generale un girone d’andata non molto esaltante, ma il cambio di passo durante la seconda parte del campionato ha risollevato le cose e la squadra ha raggiunto in anticipo la salvezza, chiudendo 12esima (ancora con un finale in crescendo, tre vittorie e un pareggio) con 49 punti. La stagione scorsa, 2019/20, è iniziata in maniera molto positiva, con la squadra costantemente nella colonna sinistra della classifica e una buona serie di risultati utili consecutivi (dopo la 30esima giornata la squadra era al nono posto), prima di un tracollo incredibile con la ripresa estiva nel Project Restart con sette sconfitte consecutive (diciassette gol subiti e soltanto due segnati) e un pareggio.
Hodgson è famoso, e rispettato, per il suo stile di gioco chiuso, fatto di solidità difensiva e di poco possesso palla favorendo invece il recupero basso e il contropiede, affidandosi poi alle giocate individuali o alla classe di Zaha. È l’elogio dell’efficacia e della praticità a discapito di spettacolo e ricerca estetica, e non è un caso che la sua formazione sia spesso tra i primi posti nelle classifiche dei contrasti effettuati (730 due anni fa, 686 l’anno scorso, poco meno di 400 quest’anno) e nei clean sheets (12 due anni, 10 l’anno scorso) e in fondo a quelle di possesso (46% in entrambe le ultime due stagioni), precisione nei passaggi (76% in entrambe le ultime due stagioni) e gol assistiti o creati da azione manovrata.
Se da un lato questo approccio ha ben pagato in passato, è sempre più evidente come alla lunga la squadra non stia per niente beneficiando di questo approccio, che li ha portati a essere troppo passivi. Nelle 24 partite giocate finora in campionato il Palace ha già raccolto 11 sconfitte, tenendo la porta inviolata soltanto 4 volte e subendo ben 42 reti (quando nelle ultime due annate furono rispettivamente 53 e 50). Offensivamente, la squadra aveva mostrato già di essere in difficoltà l’anno scorso (secondo peggior attacco con 31 reti); quest’anno è a quota 27 gol, ma il problema è rappresentato dalle pochissime occasioni create, con meno di 10 tiri di media a partita, e un valore medio di possesso palla abbassatosi quasi di 2 punti percentuali.
Nonostante questo, la squadra è attualmente al 14esimo posto, e non sembra realmente in pericolo di rimanere invischiata nella lotta per la retrocessione. Ci sono però diverse questioni da valutare e risolvere, probabilmente rimandate da tempo, ma che sicuramente andranno affrontate durante la prossima estate.
Il primo nodo è quello dell’età della rosa. 12 elementi hanno almeno 30 anni, 4 ne hanno 29 e altri 5 ne hanno sopra i 26. Per una squadra dall’atteggiamento difensivo, il fatto di avere dei difensori centrali rocciosi ed esperti e che giocano insieme da tempo è un punto di forza non da poco. Quest’anno però sia Sakho che Tomkins e Cahill sono tutti stati limitati da infortuni, costringendo Kouyaté a venire costantemente schierato da difensore centrale. Dai 25 anni in giù abbiamo soltanto 5 giocatori, che in totale hanno giocato 3.700 minuti. Mitchell (21 anni) è stato impiegato al posto di van Aanholt durante la sua assenza, e ha faticato a integrarsi anche per via della mancanza di un leader vocale al suo fianco in difesa. Riedewald (24 anni) è un buon prospetto in mediana (e ha già vinto un premio come giocatore del mese per la squadra), e Mateta è una giovane punta (23 anni) acquistata a fine gennaio ma che finora ha visto il campo soltanto per un’ottantina di minuti totali spalmati su quattro gare. Il giovane che però ha più gli occhi puntati addosso è Eze (22 anni), trequartista comprato in estate dal QPR per una cifra attorno ai 20 milioni, che sta ripagando l’investimento con 3 gol e 3 assist ma sul quale l’allenatore sembra continuare ad avere dei dubbi di posizionamento. L’età è un problema anche per l’allenatore, Roy Hodgson, ormai 74enne e che appartiene a un’idea di calcio ormai di un’altra epoca. Se in passato si era bene o male lasciato andare anche all’utilizzo di più moduli, come la positiva parentesi con il 4-3-3, quest’anno non si è praticamente mai mosso dal 4-4-2, nonostante gli evidenti problemi che il campo restituiva. Non è un caso – o forse sì – che nelle due partite giocate con il 4-2-3-1 siano arrivate due vittorie in tre giorni, ma la riluttanza nel cambiare è stata confermata nelle successive due partite, col ritorno al 4-4-2 (e altre due sconfitte, tra cui l’ultima e per molti versi imbarazzante per 0-3 contro il Burnley).
Secondo l’allenatore, la “colpa” delle sconfitte è da ricercarsi più che altro nelle cattive prestazioni individuali dei suoi, più che sul modulo. Sicuramente è vero, a partire dai terzini, Ward e van Aanholt, che sono lontani dagli standard soliti, (e con quest’ultimo che ha a lungo lottato con dei problemi fisici), passando per un centrocampo che manca di creatività, con il solo McArthur capace di servire 2 assist e con una preoccupante involuzione di un giocatore chiave come Milivojevic (che soltanto un paio d’anni fa non aveva saltato un minuto in stagione ed era andato in doppia cifra realizzativa), e per un attacco che manca di una presenza in grado di segnare con continuità. Wilfried Zaha, per cui non si può che parlare di totale dipendenza (una statistica su tutte: il Crystal Palace ha perso 18 delle ultime 20 partite giocate senza di lui) è a quota 9 gol e 2 assist – da valutare, a proposito, i tempi del recupero dal suo recente infortunio contro il Newcastle –, ma dietro di lui c’è il vuoto con i soli Eze e Benteke capaci di segnare 3 reti. Ayew, che l’anno scorso ha avuto un exploit di 9 marcature, quest’anno è fermo a 1, come Batshuayi e Towsend.
Il problema di Hodgson nel “fidarsi poco” dei giocatori che non siano i suoi senatori lo si ritrova anche nel fatto che abbia impiegato solamente 22 elementi durante questa stagione di Premier League (“peggio” del Crystal Palace ci sono soltanto Leeds e Aston Villa, con 21), a causa anche di una serie di infortuni e di una rosa non particolarmente lunga. Eppure, a detta di molti la squadra Under23 avrebbe dei giocatori in grado di dare da subito un cambio di marcia, anche se spetta comunque sempre all’allenatore la scelta finale sull’impiego. La necessità di ringiovanire la squadra e di infoltirla, si riflette necessariamente in quello che sarò il vero problema con la P maiuscola. In estate, infatti, ben 17 giocatori andranno in scadenza di contratto (di cui 11 con almeno 30 anni sulla carta d’identità): due portieri (sarebbero stati tre, ma Guaita ha poi rinnovato nelle scorse settimane), tre difensori centrali (tra cui Sakho, il migliore in rosa ma anche quello che guadagna di più, e che quando rientrerà dall’infortunio probabilmente sarà già in parabola discendente della carriera), tutto il reparto terzini (tre a destra e due a sinistra), due mediani e cinque elementi offensivi (tra cui il ricco contratto di Benteke e la fine del prestito di Batshuayi.
La riconferma o meno dei giocatori passerà in primo luogo per la riconferma di Hodgson, anche se a questo punto pare sempre più plausibile – e auspicabile – un cambio alla guida, magari con un manager più giovane e propositivo in grado di portare qualche ambizione e motivazione in più nel club del South London.
di Luca Donina