Chi almeno una volta nella vita non ha sognato di indossare la fatidica maglia numero 10?

I numeri dieci

Se un tempo i numeri dieci erano perfettamente centrali – non solo come posizione de facto in campo, ma come ruolo di attori protagonisti nelle sorti delle partite – a tal punto da vedere il Brasile schierarne quattro contemporaneamente nel ’70 e, praticamente, anche nell’82, la tendenza oggi è drasticamente cambiata. I 10 nel calcio moderno vivono una condizione di equivoco tattico, causato dalla voglia degli allenatori di aggiungere tecnica ed individualismo in campo ma, al contempo, dalla stessa predilezione degli allenatori nei confronti di mazz’ale di gamba e spinta, capaci di fare (più o meno) le due fasi senza difficoltà tutelandosi difensivamente.

I numeri dieci prima

Il primo grande dieci della storia, e sostanzialmente colui che ha indossato la 10 per la prima volta nel modo in cui intendiamo oggi quella maglia, è stato ovviamente Pelè nel ’58 in Svezia: da quel mondiale in poi il numero dieci ha assunto quel valore di perfezione, ha raggiunto quella concezione mitologica di classe e qualità che fa capire inequivocabilmente chi è il giocatore da tenere d’occhio; inoltre, gli allenatori assegnavano spesso a colui che giocava come trequartista/seconda punta la 10, anche perché la numerazione della squadra era dall’1 alla 11 e “toccava” al trequartista prendere in carico questo numero.

Arrivati negli anni 70 abbiamo visto la vera esplosione del fenomeno, aumentato poi esponenzialmente negli anni 80 e culminato nei successivi nineties: nel mondiale in Messico nel 1970 il Brasile scelse di schierare tutti i suoi numeri 10, facendoli coesistere in un simil 4-2-2-2 (che diventerà sostanzialmente il modulo e il modo di giocare tipico della Seleção, riutilizzato poi senza successo nel ’98), scelta che si rivelò fatale nei confronti dell’Italia nella finale persa dagli Azzurri per 4-1.

Quel Brasile riuscì ad esprimere qualcosa di importante a livello tattico che fu ripreso poi nel decennio successivo: i giocatori tecnici si cercano fra loro, senza ostacolarsi se fatti coesistere con libertà, e vanno messi tutti insieme in campo per potere dominare il campo e divertire divertendosi. Nonostante i numeri di maglia fossero stati ormai sdoganati dalle effettive posizioni in campo, il 10 continuava a rappresentare (e ha continuato a farlo fino a qualche anno fa) una posizione intermedia tra il centrocampo e l’attacco, di raccordo, del giocatore che tra le linee rappresentava un pericolo costante per la difesa avversaria.

Pallone
Pallone - Photo by Joshua Hoehne on Unsplash

Cos’è cambiato oggi

I numeri dieci di oggi, e la dimostrazione sono i vari Dybala, spesso in panchina per fare posto ad un attacco a due di punte, Isco, ormai stabilmente una riserva, James Rodriguez, che oggi gioca in una posizione non sua ma che sta riuscendo comunque ad esprimere un buon calcio nell’Everton di Ancelotti, sono relegati a ruoli marginali, come subentranti, o si ritrovano fuori posizione avendo difficoltà nell’adattarsi al nuovo ruolo.

Coloro che prima giocavano sulla trequarti, fra le linee, creando tanti grattacapi oggi giocano spesso in posizione esterna, per cercare un calcio spesso più di velocità e gamba piuttosto che di lampi di genio improvvisi e giocate di livello per vie centrali; gli esterni e le punte complete di oggi, ormai, hanno preso in mano la situazione, spesso indossando proprio la maglia numero dieci, e trasformandosi così nei giocatori più pericolosi che, a livello tattico, non hanno nulla da spartire con i vecchi trequartisti e seconde punte.

Non dobbiamo meravigliarci, quindi, che stelle del calibro di Dybala o Eriksen vivano condizioni di tale disagio: se in questo discorso in alcuni casi si possono anche addossare diverse colpe agli allenatori per la gestione di questi giocatori, prima fondamentali, bisogna anche rendersi conto che attualmente un loro collocamento tattico è complicato, a causa del repentino cambiamento del modo di giocare a calcio in tutto il mondo. Ed ecco quindi vedere Dybala spesso partire dalla destra, in posizione da esterno, per rientrare sul suo mancino, o Eriksen abbassarsi o alzarsi molto rispetto alla sua reale posizione per poter cercare spazi o di giocare il più possibile la palla.

I numeri dieci torneranno?

Il calcio, come tutto nella storia dell’uomo, è cambiato. Sta cambiando anche ora, si trasforma ogni giorno e ogni anno ci sarà uno stile più adeguato ed un’idea di gioco più adatta rispetto al contesto storico. Nel calcio di oggi è effettivamente complicato riuscire a vedere l’esistenza di un dieci puro nella sua posizione (persino Messi, uno che può permettersi di tutto, spesso parte da posizione defilata e non centralmente).

Non ci è lecito sapere o dire se questo processo sarà irreversibile: da un lato c’è la possibilità che il trequartista diventi un ruolo superfluo e che cada in disuso, dall’altro c’è la possibilità che il fenomeno ritorni all’improvviso perché ci sarà effettivamente bisogno di nuovo di un dieci a muovere le linee e a creare larghezza fra i reparti avversari. A livello puramente estetico, però, questo non può che essere un peccato: se molti hanno iniziato a seguire o amare questo sport è proprio grazie alle giocate di prototipi di giocatori che stanno cadendo in disuso, come degli affascinanti latinismi che però perdono di efficacia nel contesto che viviamo. La tattica di oggi vira verso una corrente di pensiero che non strizza l'occhio alla fantasia, ma il numero 10 sulle spalle è il sogno dei bambini. La poesia e il fascino di quel numero è immortale, lascia libero spazio alla fantasia e illumina la platea.

di Francesco Colaianni